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Le dure prove del soccorritore. Tratte da una storia vera.

“Che la vita ci metta spesso a dura prova ormai è cosa certa, anche se svolgo questa attività da poco tempo di situazioni difficili ne ho già vissute parecchie, ma questa eventualità va messa in preventivo da subito. Non però quella che mi sono trovato a fronteggiare la scorsa notte. Durante la serata dedicata alla lezione di retraining per il mantenimento del secondo livello da soccorritore, arriva una chiamata dalla Centrale Operativa 118, dove chiede la disponibilità di una squadra per la notte, visto il durare del maltempo che in questi giorni ci sta colpendo. Anche se con alle spalle una giornata lavorativa do il mio assenso e al termine della lezione corro a casa a cambiarmi, pronto per entrare in turno dalle ore 23 alle 07 del mattino successivo. Il tempo di una check list e squilla il telefono, accorro mentre la collega sta già rispondendo alla C.O. Mi rendo subito conto che la cosa è seria, viene evidenziato sulla scheda di intervento “codice rosso”, il paese e la via del luogo in cui dobbiamo intervenire mi sono familiari, ma ancora di più il nome della persona da soccorrere. Appena trascritto sento un brivido percorrermi lungo tutta la schiena e inizio a gridare: “è mio cugino…!!!” Come dei missili ci catapultiamo in garage e partiamo, nel giro di meno di un minuto, visto la vicinanza del targhet, sto letteralmente volando le scale che portano all’appartamento situato al secondo piano. Tutti i volti che incontro lungo il mio cammino sono persone che conosco da una vita, volti che spesso mi salutano in modo sorridente hanno invece questa sera il terrore negli occhi. Entrato nell’appartamento lo vedo li, seduto con il volto rivolto sul tavolo. “Presto! Aiutatemi a metterlo a terra…”, mentre ormai attorno a me ci sono solo persone rassegnate, “dobbiamo rianimarlo”. Ha così inizio una disperata manovra di rianimazione cardio polmonare, colleghiamo anche il defibrillatore ma purtroppo nessuna scarica ci viene consigliata dall’apparecchio. “Proseguiamo, proseguiamo…”, non voglio arrendermi, arriviamo allo sfinimento di tutta la squadra in attesa del medico che al suo arrivo non può fare altro che constatare la peggiore delle mie paure, il decesso di una persona cara, un parente. In una serata nella quale non avrei nemmeno dovuto essere in servizio il destino, o chi per lui, mi ha messo difronte, quasi in maniera di sfida, una delle più terribili situazioni che un soccorritore possa affrontare.”

Memorie di un volontario del soccorso: “Quando affronti quello che non ti aspetti”

Un caldo sabato di giugno, il pomeriggio trascorso a presidiare un evento sportivo e la sera turno in sede. Appena il tempo di dare comunicazione alla C.O. (Centrale Operativa 118) della nostra disponibilità, squadra di B composta da due volontari, ed ecco che squilla il telefono. La collega risponde e dalla sua espressione capisco che la cosa è grave. Riagganciato l’apparecchio giusto il tempo di dire:
“Corriamo, è un codice rosso, un bimbo aggredito da un cane!” e siamo già proiettati verso il garage, ovviamente lasciando nel piatto le due succulenti margherite appena sfornate. Il target (luogo dove è accaduto l’evento) è a poche centinaia di metri, giusto il tempo di mettere in moto l’ambulanza e nel giro di pochi minuti siamo sul posto.

La scena che si presenta è di quelle che non si dimenticano, soprattutto se è il tuo primo rosso pediatrico:  persone che si sbracciano per indicarti il luogo, parenti, amici e vicini di casa tutti a cercare di capire come può essere successo, come in pochi secondi quella che doveva essere una serata di svago sia diventata un incubo per una famiglia di un piccolo paese di provincia; non c’era stato nessun avvertimento da parte dell’animale in passato.

Eccoli sono loro, il piccolo avvolto in un accappatoio è tenuto tra le braccia del padre. Appena arrestata l’ambulanza la collega scende, mentre io comunico “target raggiunto” alla centrale operativa. Invitiamo il padre ed il bambino a salire sul mezzo nell’attesa dell’automedica che, precedentemente allertata dalla Centrale Operativa, sta raggiungendo l’obiettivo. Grida, pianto e disperazione sono ciò che ci circonda mentre iniziamo a prenderci cura del piccolo, il cui viso è completamente bagnato da lacrime mescolate a sangue.

L’adrenalina in quei momenti fa trovare un coraggio che mai avrei creduto di avere, pur essendo consapevole che prima o poi in questa professione, anche se il mio vero lavoro non è, qualcosa del genere sarebbe accaduto; ma mai avrei immaginato di quanto sia difficile affrontare il dolore di una creatura di due anni e mezzo.

Passano i minuti, interminabili in quei frangenti in attesa dei rinforzi, mentre cerchi di prenderti cura anche dei familiari con parole di conforto, fin quando una sirena riesce a spezzare l’angosciosa attesa, ecco il medico e l’infermiere. Dopo aver dato un’occhiata alle ferite riportate ed un breve colloquio con i genitori del bambino in merito alla gravità, decidiamo di partire. I circa quaranta chilometri di strada che ci separano dall’ospedale sembrano non passare più tra chi non ci vede e non ci sente arrivare alle proprie spalle, mentre per fortuna c’è sempre qualche utente della strada che ogni tanto dal retrovisore si rende conto che è in arrivo un mezzo di soccorso che chiede di poter passare.

Giunti al P.S. (Pronto Soccorso), stranamente deserto di sabato sera, tiro un respiro di sollievo e dentro di me ringrazio, come da una vita non mi capitava, tutte le divinità per aver fatto si che, lungo il tragitto, tutto sia filato liscio; ora i medici sapranno come prendersi cura al meglio del bambino. Per un po’
rimaniamo in attesa, sperando in qualche notizia positiva, mentre veniamo a sapere che sarà trasferito in un centro specializzato, quindi non ci resta che salutare i genitori con la promessa che nei giorni successivi ci terremo in contatto, in paese tutti ci conosciamo. La strada del rientro è una sorta di debriefing, proviamo a ricostruire la scena che ci è stata raccontata, ma ancora non ci è chiara la reazione del cane che, come ci è stato detto, si è sempre preso cura del suo piccolo padrone.

Rientrato tra le mie quattro mura non posso fare a meno che rivivere ogni istante, un sorta di baco si è insinuato nella mia testa ed il cervello elabora informazioni a più non posso; cerco su internet notizie in merito all’aggressività dei cani nei confronti di bambini, ma niente lascia intravedere come a distanza di più di due anni dalla nascita del piccolo quello che era, da circa due lustri, il padrone del territorio si possa essere trasformato in belva feroce, fin quando una piccolissima lampadina si accende nella mia materia grigia, il piccolo da pochi giorni ha un fratello, eh già… Vuoi vedere che la gelosia non manifestata prima d’ora si è scatenata proprio in questo maledetto sabato sera?

Intervento Pegaso a Barga 17-12-2014

Intervento del Pegaso, l’elisoccorso del 118 che questo pomeriggio attorno alle 15,30 è atterrato allo stadio “Johnny Moscardini” di Barga per prelevare un bambino, ricoverato nel reparto pediatrico di Barga.

Il bambino è stato trasferito a Siena, ma quel che conta è che non si tratta di un trasferimento legato ad una gravità delle sue condizioni di salute, ma solo alla necessità di poterlo assistere in un ospedale meglio attrezzato per la sua patologia.

Con l’ausilio di sicurezza dei Vigili del Fuoco e l’intervento dell’ambulanza e dei volontari della Misericordia del Barghigiano, il bambino è stato trasportato nel campo dello stadio barghigiano dove poi è stato prelevato dal Pegaso per raggiungere il reparto di pediatria del Policlinico di Siena.

Il passaggio dei mezzi di soccorso, dei Vigili del Fuoco e l’arrivo del Pegaso hanno messo in subbuglio il tranquillo pomeriggio barghigiano, ma, lo ripetiamo, non si è trattato di un intervento di urgenza e non dovrebbero destare particolari preoccupazioni le condizioni di salute del bimbo.